Massimo Coltrinari. Grande Guerra. Mezzi di Guerra Psicologica IV Parte

La Prima parte è stata pubblicata il 9 gennaio 2019, la II Parte è stata pubblicata il 19 gennaio 2019, la terza parte è stata pubblicata il 29 gennaio 2019

 

La Battaglia di CAPORETTO

Dall’Isonzo al Piave 24 ottobre 9 novembre 1917

TESI N. 30  GLI AVVENIMENTI

  1. Operazioni di guerra terrestre
  2. Operazioni di guerra aeree, navali e di guerriglia
  3. Azioni di guerra psicologica

Principali temi sfruttati, mezzi, fasi ed obiettivi dell’azione, esito finale.

  1. Avvenimenti politici ed economici

Iniziative politiche ed economiche in Italia. Interventi dei Paesi Alleati . Rapporti.

 

  1. Aspetti particolari da parte italiana

 

 

I N D I C E

 

 

PARTE PRIMA

 

  1. AZIONI DI GUERRA PSICOLOGICA

 

  1. La guerra psicologica. Evoluzione storica
  2. La guerra psicologica durante la I Guerra Mondiale

 

  1. PRINCIPALI TEMI SFRUTTATI

 

  1. Generalità
  2. Il tema interventista
  3. Il tema neutralista

(1) i Socialisti

(2) i Cattolici

(3) i Giolittiani

  1. I temi usati dagli Italiani verso gli Austro Ungarici
  2. I temi usati dagli Austro Ungarici verso gli Italiani
  3. I temi usati dagli Italiani verso il fronte interno e i propri combattenti

 

  1. MEZZI DI GUERRA PSICOLOGICA

 

  1. Generalità
  2. Mezzi di guerra psicologica: i volantini
  3. Mezzi di guerra psicologica: i giornali
  4. Mezzi di guerra psIcologica: le cartoline postali
  5. Mezzi di guerra psicologica: l’utilizzo dei prigionieri
  6. Mezzi di guerra psicologica: il denaro
  7. Mezzi di guerra psicologica: i mezzi particolari
  8. Mezzi di guerra psicologica: il sabotaggio e lo spionaggio

 

  1. FASI ED OBIETTIVI DELL’AZIONE

 

  1. Generalità
  2. Fasi ed obiettivi dell’azione: la rinuncia alle azioni di guerra psicologica 1915 ‑ 1917
  3. La propaganda contro la guerra: il pacifismo
  4. Fasi ed obiettivi dell’azione. Gli Austro Ungarici e Tedeschi
  5. Fasi ed obiettivi dell’azione. Caporetto dal 24 ottobre al 9 novembre: gli Italiani segue %

 

  1. ESITO FINALE

 

  1. Il combattente italiano senza sostegno nè morale nè psicologico
  2. La ritirata nel pensiero di Garibaldi
  3. A Caporetto si salvò l’Italia e a Vittorio Veneto la si affossò
  4. Dalla mancata rivoluzione socialista alla nascita del Fascismo e

del Nazismo

PARTE SECONDA

  1. AVVENIMENTI POLITICI
  2. AVVENIMENTI ECONOMICI
  3. INIZIATIVE POLITICHE IN ITALIA
  4. INIZIATIVE ECONOMICHE IN ITALIA
  5. INTERVENTI DEI PAESI ALLEATI
  6. 1 RAPPORTI FRA ALLEATI
  7. Generalità

 

NOTE

NOTA BIBLIOGRAFICA

ELENCO ALLEGATI

  1. AVVENIMENTI POLITICI.

 Con il cinquantenario della sua unificazione appena celebrato, l’Italia affronta e l’esperienza della Libia e la guerra europea.

La classe dirigente di allora venne dominata e travolta da questi avvenimenti e dalle forze che essa aveva scatenato e che, per lo più, erano ad essa sconosciute.

Politici e militari si contesero aspramente “chi” dovesse guidare la guerra.

Nessuno si erse a guidare gli avvenimenti, dominandoli. La guerra andò per conto suo, ribelle ad ogni sollecitazione.

Come ebbe a dire il Gen. Di Giorgio nel 1919 ” … la verità è che nessuno governò in Italia durante la guerra” (29).

1 politici si vantavano già dall’anteguerra di ignorare ogni nozione di carattere militare; essi stimavano ben poco gli Ufficiali di carriera e ripetevano frequentemente che la gioventù più dotata aveva sempre preferito gli uffici civili.

Giolitti confidò ad Olindo Malagodi che per due generazioni le famiglie italiane avevano avviato alla carriera militare i figli “discoli e i deficienti”. (26).

Cadorna e i militari di vertice esprimevano risolutamente una opinione negativa sulla società politica del loro tempo e su Giolitti in particolare. L’idea del Generale era radicale: non giudicava positivamente nessuno dei Governi succedutisi nel corso della Grande Guerra, neanche il Governo Salandra.

Questo Governo fu giudicato dal Cadorna “di gran lunga il migliore” ma anch’esso era aperto alle pressioni e alle influenze parlamen­tari, incapace di scuoterle e di governare come l’ora richiedeva, come seppe fare Celmandeau in Francia. Tutti i Governi di guerra meritavano di essere spazzati via per essere sostituiti con un regime più confacente alle necessità della grave ora che si stava attraversando: il Cadorna si riferiva al regime di Mussolini. Era dell’opinione che se nel 1917 vi fosse stato in Italia un governo “forte” come quello di Mussolini (del 1929), il disastro di Caporetto non avrebbe avuto luogo. (27)

L’ostilità tra i dirigenti militari e civili non si attenuò con il’ procedere della guerra; anzi divennero più gravi.

Ne fa fede la vicenda della sostituzione del Governo Salandra. La dichiarazione di Bissolati alla Camera il 12 dicembre 1915 (amichevole e cortese, ma critica nella sostanza), l’intervento dell’Onorevole Orazio Raimondo invocante un governo nazionale, furono le principali azioni che la sinistra interventista mise in atto per indurre Salandra a dimettersi.

La caduta di Salandra fu un’occasione che confermò il poco spessore della classe politica italiana. Essa non fu in grado di esprimere

 

 

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una reale alternativa di governo Salandra. Questi fu sostituito si con un governo di unione nazionale, ma si trattò di una soluzione in cui pochi credettero.

Il primo a non crederci fu lo stesso presidente, 1 ‘ottentunenne Boselli, definendo il suo governo una “minchioneria”.

Boselli era un uomo politico di scarso rilievo, di ancor scarsa autorità, venuto quasi per caso a guidare una coalizione niente affatto omogenea.

La guerra richiedeva uomini energici con idee nuove, ma la classe politica italiana non ebbe di meglio da offrire che un Governo presieduto dal decano del Parlamento, un Governo definito “della debolezza che simulava la forza”.

Cadorna era soddisfatto per questa soluzione, in quanto un Governo debole, anche se vi erano presenti Sonnino e Orlando, poteva facilmente essere aggirato.

Si può dire che Salandra dovette lasciare il Governo perchè il suo Governo fallì nel progetto da lui concepito al momento dell’intervento.

Una guerra facile e breve gli avrebbe permesso di dominare le Camere. Con il prolungarsi della guerra, Salandra dovette lasciare la guida della Nazione.

Boselli condusse il Governo , fino al 1917, ma senza dare un appor­to sincero ed efficace alle cause della guerra.

Durante il 1917 il Nuovo Governo non fu in grado di dare una risposta concreta alle 4 lettere che Cadorna aveva scritto al Governo stesso riguardanti il disfattismo. La propaganda contro la guerra agiva indisturbata ed Orlando, Ministro dell’Interno, riteneva che non fosse il caso di intervenire, essendo l’Italia un regime parlamentare.

Chiamato a Roma il Genevale Cadorna per chiarimenti, Boselli chiese al Capo di SM quali rimedi intendeva prendere per far fronte a quanto denunciato con le sue lettere.

La risposta fu semplice, Cadorna disse che questo esulava dalle sue compentenze e quindi con suggeriva alcunchè.

Sarebbe stato opportuno esonerare il Capo di SM, ma si temeva il salto nel buio. Nel settembre 1917 Cadorna, agli occhi del Governo, rimaneva il rappresentante della volontà di combattere e di’ vincere. E quindi era in una posizione forte.

Non si presero provvvedimenti. Si andava così fra compromessi, tra la sfiducia esistente fra il mondo politico e il mondo militare: una frattura insanabile.

Il 18 ottobre, quando ancora non si era abbattuta sul Paese la vicenda di Caporetto, si aprì la Camera. Furono spettacoli poco edificanti con violenti scambi di accuse tra interventisti e neutralisti.

 

 

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In questo clima il 25 ottobre, cadeva il Ministero Boselli con 314 voti contrari e 96 favorevoli.

L’Italia si trovava così ad essere senza Governo il giorno dopo in cui 1 ‘offensiva nemica si era palesata. Si stava abbattendo una sciagura, si abbatteva sulle armi italiane e sull ‘intera nazione una sciagura e noi non avevamo una guida, un vertice a cui fare riferimento.

Caporetto lo si deve imputare, nelle sue tragiche realtà, anche alla classe politica italiana. I vari Sonnino, Bissolati, Orlando, Boselli, ecc. non sono immuni da colpe per quanto successe di negativo sul fronte Giulio.

Una azione energica nei confronti degli oppositori interni

un’azione di carattere generale tendente a limitare la propaganda cattolica in genere ostile alla violenzat un risoluto impegno contro la vita che si conduceva nel Paese (28) sarebbero stati provvedimenti necessari ed idonei.

Contro i cosidetti imboscati’, contro le varie sperequazioni che si annoveravano numerosi, un richiamo ai doveri verso il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ad una fattiva collaborazione con i capi civili della nazione in guerra, avrebbero fatto si che su tutta la classe dirigente che si rispecchiava nel governo Beselli, potesse oggi essere giudicata più positivamente per il suo operato.

Il 1917 fu un crescendo di affiorare alla guerra , a cui il Governo non si oppose con l’efficacia che la situazione e il momento richiedeva.

 

  1. AVVENIMENTI ECONOMICI (29)

 

L’ascesa dell’economia italiana era stata, nel cinquantennio, discontinua. L’ultimo ~cossone alla traballante struttura economica del Paese era stato dato dalla crisi del 1907. Iniziata negli Stati Uniti, la crisi si rigetta in Europa e rompe l’ondata di prosperità esistente ed inizia una depressione che durerà, più o meno evidente, fino alla guerra.

Nel 1914 la ricchezza italiana era valutata a 100 miliardi in capitale ed a 15 miliardi di entrate, ossia 2500 lire per abitante. In cinquanta anni, nonostante gli alti e bassi, si era acceresciutá di 3 volte (850 lire per abitante nel 1861).

Risultati interessanti, ma che in termini assoluti non sono esaltanti. La ricchezza dell’Inghilterra era, nello stesso periodo, passata da 250 a 550 miliardi (reddito pro capite 7500 lire). Quella della Francia era di circa 250 miliardi (7000 lire per abitante); quella della Germania di 450 miliardi (7000 lire per abitante . Quindi l’Italia nel 1914, come ricchezza media, si collocaVd appena al di sopra dei Paesi balcanici, distante dai Pae­

 

 

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si principali d’Europa (1 : 7 per Gran Bretagna; 1     4 per 1 a

Germania, 1 : 2,5 per la Francia).

L’Italia era tributaria per le materie prime ed i manufatti dalla Germania. Inoltre era tributaria del grano e di altri prodotti alimentari di prima necessità.

La bilancia era squilibrata, nonostante le rimesse degli emigrati ed i progressi industriali.

L’eccedenza delle importazioni sulle esportazioni, 608 milioni nel 1906, nel 1909 era raddoppiata (1244 milioni) per calare a 1134 nel 1913.

Ma nel 1915 questa eccedenza superava i 2 miliardi, nel 1916 toccava i 5302 miliardi, raddoppiava nel 1917 (10683 miliardi), per andare nel 1918 a 12.694 miliardi. Nel periodo 1914‑1918.il deficit commerciale raggiungeva i 30.961 miliardi, una cifra enorme.

L’entrata in guerra doveva significare molte cose, in campo economico e, se si fosse avuto un minimo di preveggenza, qualcheduna negativa poteva essere evitata.

La mobilitazione avrebbe, in un Paese agricolo come il nostro, sensibilmente ridotto la produzione cerealicola. Questo, con la scarsa disponibilità di naviglio mercantile (solo il 3% del naviglio mondiale) avrebbe determinato serie difficoltà di approvvigionamento. A mobilitazione avvenuta, la realtà si rivelò non felice.

Riuscirono a rimanere a casa solo il 40% dei coltivatori e, nel Mezzogiorno, si toccò punte del 65%. Oltre gli uomini, la mobilitazio­ne incise in altri settori agricoli, soprattutto in termini di bestie da soma e concimi.

Due milioni e mezzo di buoi, di cui 1/5 erano bestie da lavoro, furono consumati per i bisogni della guerra e 350.000 cavalli e muli requisiti. Tutte le importazioni dalla Germania scesero e si annullarono, incidendo nel settore dei concimi, scorie Thomas, fosfati, fertilizzanti potassici, etc..

Il problema primario era sempre il grano. Le terre messe a grano da 4.700.000 ettari scesero a 4.200.000. L’eccedenza di grano dovette essere importata noleggiando bastimenti inglesi. L’Inghilterra al momento della neutralità italiana aveva requisito tutto il naviglio mercantile italiano. Il timore di non poter più ritornare in possesso­delle proprie navi e quindi di non poter disporre di grano, fu uno dei fattori che pesarono in favore di una partecipazione alla guerra al fianco degli Alleati.

Lo sforzo bellico italiano ha del fantastico.

Le fonti (30) sono concordi nel ritenere che per poter condurre la guerra si dovette effettuare un enorme sforzo economico. Dal maggio 1915 all’ottobre 1917 la produzione mensile di mitragliatrici passa da 25 ad 800; quella dei cannoni da 80 a 500, quella degli obici da 10 a 85 al giorno. Così, alla vigilia di Caporetto, si ha in linea 10.000

 

 

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mitragliatrici al posto delle iniziali 600, 3200 pezzi d’assedio contro 140, 2400 lancia bombe contro zero.

Il numero dei cannoni leggeri si è raddoppiato, in quanto proprio su questo settore l’Italia, in partenza, era meglio dotata.

Per l’Aviazione, dove tutto era da creare, i risultati sono ancora maggiori. Gli apparecchi all’inizio erano tutti stranieri ad eccezione dei Caproni da bombardamento trimotore di 300 HP. La produzione mensile non superava i 75 apparecchi e le 9 scuole d’aviazione non formavano in media che 47 piloti al mese.

Alla fine dell’ottobre 1917, cioè alla vigilia di Caporetto, l’Italia è in vantaggio su tutte le nazioni belligeranti. (31)

Nello sforzo bellico occorre inserire altri dati. Ad esempio l’Esercito, per le esigenze del fronte, costruisce 600 chilometri di strade, più della metà in media ed alta montagna.

Nel Carso, un altro esempio, per fra fronte alla cronica deficienza di acqua si mette in piedi una ricchissima rete di tubi, che arriva fino alle prime linee. Ed altri esempi possono essere fatti; esempi che sorpresero illustri stranieri come l’architetto americano Whitney Warren e l’inglese Kipling.

Lo sforzo italiano nella Grande Guerra ha un nome: il Generale Alfredo Dallolio, preposto a quell’apparato tecnico‑industriale che doveva fornire all’Esercito tutti i mezzi indispensabili per la condotta della guerra.

Il 16 gennaio 1916 Cadorna confidava ad un collaboratore che “Più che in mano mia le sorti della guerra sono in quelle del Generale Dallolio”, sottolineando così l’importanza della logistica per la condotta delle operazioni durante il Primo Conflitto Mondiale.

Dallolio tenne sempre presente che l’aiuto degli Alleati era fondamentale. Più che di aiuti, Dallolio teneva a sottolineare che era della loro cooperazione chè si aveva bisogno.

Questa cooperazione era sempre più richiesta via via che i mesi di guerra passavano. Soprattutto non si poteva f are a meno del 1 a Gran Bretagna, che era 1 ‘unica fonte di valuta pregiata per l’Italia; valuta pregiata indispensabile per poter acquistare sul mercato americano, almeno fino all’entrata in guerra degli Stati Uniti.

Nel 1917 i problemi principali da risolvere nel campo economico erano sostanzialmente due: la scarsa disponibilità di mano d’opera e la penuria di carbone (32).

Tutti i tentativi di Dallolio di ottenere da Cadorna il rientro dal fronte di militari anziani da adibire alla produzione di armi e munizioni andarono falliti. Per ovviare a queste deficenze si fece sempre più largo ricorso alla mano d’opera femminile e minorile.

Questa esigenza si innesta nel problema degli esoneri facili. Il grande bisogno di mano d’opera permetteva ad approfittatori del momento di ottenere esoneri facili per evitare il fronte. Si crearono

 

 

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così maestranze fittizie che sulla carta dovevano concorrere alla produzione, ma che in realtá erano in sovrapiù.

Altro dato da sottolineare, il fatto che date le esigenze, la mano d’opera era pagata, per i tempi, abbastanza bene. Inoltre gli stipendi erano lievitati e questo contribuiva a quel clima di spensieratezza e divertimento che tanto deprimeva i soldati in licenza.

Chi approfittò di questi eccessi, accordati per la produzione bellica, furono i giovani della borghesia e delle classi medie ed i professionisti in genere. Si videro ingegneri, architetti, professori ed avvocati di punto in bianco trasformarsi in operai specializzati; alcuni sostennero la parte di operai e braccianti; i più spudoratamente approfittarono della situazione.

Il problema del carbone era molto grave. L’offensiva dei sommergibili germanici fu molto efficace: nel 1917 si giunse ad affondare fino ad un terzo delle navi mercantili dirette verso l’Italia. L’importazione del carbone era scesa a così bassi livelli da mettere veramente in pericolo l’efficienza militare del Paese.

Nel 1917 si era costretti a porre l’alternativa tra la riduzione del consumo di carbone da parte degli stabilimenti con l’ovvia conseguenza del calo della produzione e la riduzione della circolazione dei treni adibiti ai trasporti militari.

Si era in un vicolo cieco; non passava giorno che non arrivasse un telegramma annunciante l’imminente fermata ora in questo ora in quello stabilimento.

La dolorosa alternativa che veniva posta ad ogni richiesta di tonnellaggio marittimo per il trasporto era quella tra combustibile e grano, necessario a contrastare la continua diminuzione del livello alimentare della popolazione.

I disordini dell’agosto 1917 non incisero certo positivamente sulla produzione bellica. Le tefisioni sociali erano viste molto male dai responsabili, soprattutto dal Dallolio. Questi però considerava, le repressioni di Polizia quanto mai inutili; occorreva la persuasione ed il convincimento.

Nel settembre 1917 Dallolio ha un incontro con le maestranze. In un telegramma‑rapporto al primo Ministro Boselli Dallolio scrive: “Avuto convegno Milano con commissione operai accompagnati On.le Turati. Si sono allontanati soddisfatti e avrei motivo di ritenere che fosse sventata qualunque idea di sciopero generale essendosi anzi accomodato sciopero fonditori…”.

Alla vigilia di Caporetto si ha un soddisfacente situazione. Ad esempio vi sono nei depositi migliaia e migliaia di colpi, per tutti i pezzi di artiglieria.

Solo il calibro 210 è fonte di giustificate preoccupazioni. Cadorna chiede, per la fine di settembre, 650.000 colpi di medio e grosso calibro. Nel momento in cui si raccolgono i primi dati dell’offensiva

 

 

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nemica, si può constatare che la produzione di colpi di grosso e medio calibro ha superato tutti i livelli precedenti. Non si può dire che alla vigilia di Caporetto il nostro esercito difettasse e di materiale e di equipaggiamento. Secondo le previsioni ed assecondando gli orientamenti del Comando Supremo, per la primavera del 1918 si sarebbe stati in grado di produrre sei milioni di colpi di medio e grosso calibro e venti milioni di piccolo calibro. Tutto questo materiale sarebbe bastato, secondo Cadorna, per intraprendere due offensive nel 1918, successive e a breve intervallo. Offensive che ci avrebbero permesso di arrivare a Lubiana e a Trieste. E la nostra copertura industriale dava credito a queste osservazioni e sono uno dei fattori che spinsero gli Austro Ungarici a richiedere l’intervento Tedesco per respingere gli italiani almeno fino al Tagliamento (In Allegato “A2” alcuni dati della produzione italiana).

 

  1. INIZIATIVE POLITICHE IN ITALIA

 

La crisi politica in Italia si apre nel momento in cui si cominciano ad apprendere in senso allarmante le notizie provenienti dal fronte dell’Isonzo.

Dal 25 ottobre al 30 ottobre, l’Italia rimase senza Governo, Olindo Malagodi ci traccia un quadro molto significativo di quelle giornate (In Allegato “B2”).

Il 28 ottobre, a Roma si ebbe una sfavorevolissima impressione del comunicato Cadorna. La pubblica opinione ne è indignata. Matura già in quella giornata il desiderio nella classe politica di sostituire Cadorna.

Non doveva accadere come nel ’16, durante la crisi per la spedizione austriaca nègli altipiani. L’anno precedente Cadorna riuscì a superare quella crisi mettendo davanti il successo militare; ora si doveva evitare una simile conclusione della crisi. Il 30 ottobre si era costituito finalmente un nuovo ministero con Orlando alla Presidenza, Sonnino mantenne gli Esteri, Bissolati, che aveva avuto tanti contrasti con Cadorna e con il Comando Militare, assunse il Ministero dell’Assistenza ai militari; Nitti andò alle Finanze, ed alla Guerra il Generale Alferi, notoriamente anti‑cadorniano.

Era una compagine che sicuramente avrebbe imposto le proprie idee al Vertice Militare.

Nell’assumere la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Orlando mostra energia sollecitando i Prefetti ed i Sindaci a svolgere ogni azione che sia di resistenza e di ferma risoluzione che l’ora chiedeva.

Tale fermezza la si riscontrava anche nei discorsi alla Camera del

 

 

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10 novembre 1917 e 14 novembre 1917. Da essi emerge che 1 ‘Esercito può contare su un vertice politico più risoluto di quello posseduto da Boselli. (In Allegato “C2” i documenti relativi)

Uno dei primi problemi era la sostituzione del Capo di SM.

Il 30 e il 31 ottobre Cadorna era impegnato ad organizzare la linea del Tagliamento e nessuno aveva il coraggio di esonerarlo per timore del solito salto nel buio e per evitare di essere accusati di disfattismo e di scarso senso pratico.

Nel momento in cui il Nuovo Ministero stava muovendo i primi passi, gi.ungevano i n Ital i a i Francesi e 91 i Ingl esi . I pol i ti ci non fecero altro che elogiare chi veniva da oltre confine, come nel caso di Foch in visita a Roma. Molti politici assecondarono il Maresciallo Foch che sosteneva la sua tesi di non mandare in linea le Divisioni francesi in afflusso sia perchè ancora il Fronte non era stabilizzato sia per creare quella riserva strategica che era mancata a Cadorna nelle tragiche giornate che si stavano vivendo. Il plauso politico al Generale francese era un indiretto giudizio negativo per Cadorna. Questi, che a Roma non aveva mai avuto amici sinceri, ora era sempre più isolato.

Nè il primo nè il 2 nè il 3 novembre ci furono iniziative per esonerarlo. La sua capacità di dominare la situazione era tale che ancora era utile alla nazione, anche se il suo stato d’animo a fine ottobre e il caotico funzionamento del Comando Supremo, secondo il Pieri, erano fra le cause della sconfitta. Suona come accusa alla classe politica italiana il fatto che non ebbe la capacità in proprio di sostituire Cadorna. La sostituzione non fu decisa dal Nuovo Gabinetto. Sta di fatto che il 6 novembre, nel Convegno di Rapallo, Lloyd George, aveva parole di elogio per il comportamento del soldato italino; ma durante le trattative , pose la condizione che si dovesse sostituire il Capo di SM italiano prima di poter parlare di mandare rinforzi alleati. In questa situazione sicuramente ebbero dell’influenza anche le recenti polemiche che Cadorna ebbe per l’impiego delle truppe alleate, soprattutto francesi, sul Piave.

Per Lloyd George non solo il Capo di SM, ma anche tutto il Comando Supremo, doveva cambiare. Ed ancora più umiliante per la nostra classe politica fu il fatto che la proposta di mettere Cadorna nell’istituendo Consiglio Interalleato partì dal Segretario di Lloyd George. Gli inglesi, in pratica, prima imposero una decisione ai politici italiani, nella fattispecie Sonnino, e poi suggerirono la migliore soluzione per attuare quella decisione per evitare spiacevoli conseguenze.

La sostituzione del Capo di SM, alla fin. fine,si ebbe per imposizione alleata. Dato che Cadorna, tutto sommato, il 7 novembre aveva ripreso in mano la situazione, con la classe politica che si

 

 

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aveva e che brillava per scarsa fermezza, molto probabilmente avrebbe superato anche questa crisi e si sarebbe ricreata la situazione del ’16.

Fu l’intervento esterno che fece da cassa di risonanza alla decisione di giudicare Cadorna.

Il re stesso avallò la decisione. Vittorio Emanuele III era scontento del suo Capo di SM, che mai aveva voluto accettare da lui consigli nè riconoscere la sua utile funzione di intermediario col Governo. Fu subito d’accordo per l’avvicendamento.

La proposta di sostituzione partì dal Generale Alfieri: la scelta cadde sul Generale Diaz allora capo del XXIII Corpo d’Armata (3^ Armata).

Ad esso venivano poi aggiunti come Sottocapi il Generale Giardino, già Ministro della Guerra, nonchè il Generale Badoglio, proprio quello il cui Corpo d’Armata aveva subito lo sfondamento di Caporetto, raccomandato da Bissolati. E’ questa una delle tante pagine controverse della storia della nostra,partecipazione alla Grande Guerra. Ma 1 ‘Eserci to i tal i ano, con questo tri unvi rato si disponeva alla suprema lotta per salvare l’Italia.

Le iniziative politiche in Italia sfociarono quindi nella sostituzione del Cadorna, dopo mesi e mesi di diatribe e di contrasti e per suggerimento alleato. Non vi era stato mai un rapporto fattivo: nel quadro della guerra era grave la mancanza di piena e cordiale collaborazione fra Comando Supremo e Governo.

Entrambi questi due poteri, in realtà, furono deficitari per un verso o per un altro. Chi risolse ancora la situazione doveva essere il popolo italiano. L’Italia doveva salvarsi e trionfare delle manchevolezze degli organi militari e politici, innanzi tutto per le forze vive e sane che mostrava. Dopo cinquanta anni di libera vita unitaria, sapeva generosamente sprigionare dal suo seno, nei momenti decisivi della sua nuova esistenza. Poi Der 1 ‘emergere di quello spirito mazziniano improntato alla religione del dovere e dei supremi interessi della nazione, quello spirito coagulo dei sentimenti che furono il filo conduttore dell ‘idea e della spiritualità del nostro processo unitario. Essi riemergono ed affiorano ogni qual volta il nostro Paese è chiamato a prove supreme, decisive come la situazione dell’ottobre‑novembre 1917.

 

  1. INIZIATIVE ECONOMICHE IN ITALIA

 

Nel momento in cui l’offensiva Austro‑Tedesca si palesa, la situazione economica e di sostegno logistico era abbastanza soddisfacente.

Il 24 ottobre Cadorna comunica ai responsabili della spesa bellica (Dallolio) che il nemico aveva iniziato 1’azione da noi prevista”.

 

 

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Cadorna, non per nulla turbato dalle prime notizie, scrive soste­nendo che per far fronte alla nuova situazione delle munizioni sarebbe stato necessario produrre 1.600.000 colpi di grosso calibro e 5 milioni di piccolo calibro. Questo in previsione sia dell’offensiva nemica, che nella migliore delle ipotesi sarebbbe durata almeno un mese, sia in vista di future operazioni nella fronte Giulia.

Cadorna quindi chiedeva ancora uno sforzo alle nostre industrie per respingere la prima offensiva nemica che era intesa come un intermezzo, in attesa della ripresa delle nostre offensive.

Il 24 ottobre ancora ci si illudeva che le cose sarebbero andate secondo i pi ani . Ma 1 a sorpresa f u total e. E i n due settimane si persero 335.000 uomini caduti prigionieri, 40.000 morti e 91.000 feriti, mentre altri 300.000 si dispersero, raggiungendo il Veneto le Romagne e la Toscana; questi uomini saranno successivamente recuperati ed integrati nelle file dell’Esercito. Riguardo il materiale le perdite furono ingenti, in quanto la maggior parte erano ammassati presso la fronte Giulia.

Per le armi, si prese oltre 4000 bocche da fuoco, mentre è praticamente impossibile definire l’esatto numero dei fucili, mitragliatrici e bombarde.

Il Generale Dallolio il 28 ottobre è a Treviso, nuova sede del Comando Supremo. Lì si rende conto della realtà ed inizia una prodigiosa attività che non ha riscontro in altre pagine della nostra storia economica.

Prima iniziativa fu quella di sollecitare il massimo sforzo agli stabilimenti militari ed ausiliari. Nel 1917 (giugno) questi ammotavano a 66 stabilimenti militari (63.912 operai) e 1448 stabiliienti ausiliari (546.149 operai). Poi chiese urgentemente agli Uffici all’Estero’di intensificare l’approvvigionamento dei materiali. Un successo della nostra politica economica di guerra fu il fatto di aver ottenuto in pochi giorni un prestito dagli Stati Uniti di 1.250.000 dollari. Un prestito che sostenne efficacemente la nostra.produzione bellica.

Dallolio il 31 ottobre era a Roma ove potè scrivere a Cadorna che vi era in tutti i suoi dipendenti 1a ferma volontà di portare alla maggiore efficienza le risorse industriali del Paese”.

Cadorna, pur nel tumulto degli avvenimenti, ha il conforto che sulla linea di resistenza, sia essa il Tagliamento o il Piave, i materiali e gli equipaggiamenti arriveranno.

Infatti il 2 novembre scrive a Dallolio: ‘V davvero confortante il riscontrare che l’organizzazione industriale del Paese risponda alle gravi necessità dell’ora presente”.

E’ la conferma indiretta che i Socialisti, che controllavano tutte le organizzazioni sindacali, avevano deciso di non passare

 

 

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all’azione, con una rivoluzione di carattere generale, alla russa.

Tutti erano ai loro posti per produrre quei materiali ed equipaggiamenti che servivano all’Esercito.

Dollolio, domenica 4 novembre, durante la riunione del novello Consiglio dei Ministri, potè assicurare che entro il 15 novembre sarebbero stati reintegrati i colpi completi perduti nella ri ti rata, ol tre un mi 1 i one e mezzo, e che entro 1 a f i ne di di cembre sarebbero stati forniti all ‘Esercito altri cinquecento pezzi di artiglieria.

Le lettere che Pio Perrone, presidente della Ansaldo, aveva fatto pervenire a Dallolio con le quali dava ampia assicurazione che sarebbero state f orni te 470 bocche da f uoco al 1 ‘Eserci to e che si faceva il possibile per arrivare a 500, è una conferma di come l’industria sosteneva l’Esercito (Allegato “D2”).

Da questa situazione si formò la leggenda, messa in atto dai Fratelli Perrone dell’Ansaldo, di una massa di artiglieria allestita dall’Ansaldo stessa al di fuori’ delle commesse del Ministero ed inviata subito al fronte, nelle settimane di novembre, è pura leggenda e non trova conferma nella documentazione ufficiale e negli appunti di Dallolio.

La nostra industria lavorava per la guerra e difficilmente si sarebbe potuto produrre “per il magazzino” materiali e mezzi che il fronte richiedeva con insistenza. Quindi occorre dire che la nostra industria mirò a lavorare con un ritmo che le circostanze imponeva­no.

Dallolio l’8 novembre era al Comando Supremo, quando si decise l’avvicendamento della carica di Capo di SM.

In verità tale avvicendamento era già in atto con gli orientamenti presi il 28 ottobre, ma Orlando preferì dare corso nel momento in cui la situazione si sarebbe maggiormente stabilizzata.

Nelle due settimane della battaglia quindi il responsabile della nostra produzione bellica era in continuo e costante collegamento con i responsabili militari. In mezzo alla sventura potè dare notizie molto confortanti, assicurando che entro breve tempo i materiali perduti sarebbero stati reintegrati. L’attività in questo senso non può essere racchiusa nelle due settimane della battaglia. Subito dopo la stabilizzazione sul Piave e nel mezzo della’ battaglia di arresto, andavano a buon fine tutte quelle iniziative che i nostri responsabili avevano avviato nel momento in cui si delineava nella sua interezza il disastro di Caporetto.

Dallolio il 18 novembre era a Parigi, ove si incontrò con i responsabili dello sforzo bellico francese e inglese (Louis Loucher e Winston Churchill). Dalla Francia si ottenne in prestito 150 mila fucili Lebel con 25 mila cartucce, 2000 mitragliatrici con 20 milioni di cartucce e 300 cannoni da 75 con 300.000 colpi. In cam­

 

 

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cambio i francesi, che non danno niente per niente, chiedevano l’invio in Francia di operai italiani.

Era una richiesta sempre respinta da Dallolio, ma date le circo­stanze, in armonia con gli intendimenti del nuovo Capo di Stato Magggiore, fu disposto che andassero in Francia 10.000 operai italiani.

Dall’Inghilterra si ottennero 50.000 fucili, duemila mitragliatrici e 30 milioni di cartucce. La situazione era sotto controllo e per l’artiglieria vi fu una ripresa immediata.

La situazione era la seguente al 15 novembre 1917:

 

‑ grosso calibro    29

‑ medio calibro    1347

‑ piccolo calibro 2613

 

per un totale di 3989 pezzi. Il 15 gennaio la situazione era:

 

‑ grosso calibro    73

‑ medio calibro    1708

‑ piccolo calibro 2810

 

per un totale di 4591 pezzi.

Una situazione che andò via via migliorando fino a raggiungere il numero di 5727 alla vigilia della battaglia del solstizio. *

Le iniziative economiche prese nel corso degli avvenimenti di Caporetto furono tali che al momento della conduzione della battaglia d’arresto le nostre truppe potessero avere quel minimo di sostegno in materiali ed equipaggiamenti che, senza i quali, ogni atto e volontà di resist enza sarebbe stato vano.

 

  1. INTERVENTI DEI PAESI ALLEATI

 

I rapporti tra Italia e Francia, per la conduzione delle operazio­ni, erano già ad un livello non soddisfacente nel momento in cui Cadorna aveva espresso la sua decisione di non attaccare nell’autunno del 1917.

Già nel 1917 si erano condotte tre sanguinose offensive; una quarta non era il caso, anche in relazione alla relativa stasi del fronte francese.

Si constatava inoltre che non vi era intesa e coordinazione tra tutti gli Alleati dell’Intesa. In aprile‑maggio quando avvenivano gli attacchi anglo‑franco‑italiani, mancavano quelli della fronte russa; in luglio succedeva l’opposto.

Questa mancanza di coordinazione faceva sì che gli Austro‑Tedeschi

 

 

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potevano spostare forze da un fronte all’altro.

Cadorna a settembre avvertiva che sulla fronte Giulia si stavano ammassando forze nemiche provenienti da altre fronti.

Quando il 21 settembre Cadorna comunica che vi è la possibilità di una concreta offensiva nemica e chiede che i circa 200 pezzi alleati già in Italia rimangano sulla fronte Giulia , le risposte inglesi e francesi furono dure ed anche sgarbate.

I pezzi furono ritirati. E si aprì ancora il divario e le incomprensioni sia il Comando Supremo e gli Alleati.

Cadorna e gli Italiani “sentivano” che non era il caso di ulteriori avventure. 1 33.000 uomini persi per varie cause nelle tre offensive precedenti era una remora molto significativa.

I Francesi avevano perso, nell’offensiva dell’Aisne 100.000 uomini e ne erano stati fortemente impressionata, tanto da mettersi sulla difensiva.

I Francesi e gli Inglesi invece vedevano in questa mancata volontà di attuare 1 ‘offensiva da parte Italiana, come un rifiuto a non voler marciare, a non impegnare il nemico.

In Francia vi furono sempre correnti che volevano concentrare i propri sforzi contro il più debole dell ‘Alleanza degli Imperi Centrali, cioè 1 ‘Austria (33) conseguentemente è 1 ‘Italia che deve sferrare il colpo decisivo. Ed è per questo che si dovrebbe dare il massimo aiuto possibile, aiuto che, però, non venne accordato.

L’Italia, nella concezione francese, deve continuare a battersi sul suo fronte, che è considerato secondario. Deve perseguire lo scopo di attirare su di sè più nemici che può, intanto che la Francia sul fronte principale è ferma.

E’ una situazione, alla vigilia di Caporetto, molto difficile. Gli Alleati fanno il broncio.

Sul finire del settemb~e 1917 gli apprezzamenti di Cadorna sulla situazione italiana vengono visti dagli Alleati con un certo fastidio. Non si dà credito nè tantomeno si inviano aiuti e sostegni.

Gli Alleati “chiudono gli occhi per non vedere” e questa situazione

perdura fino al 24 ottobre.

Caporetto, per 1 ‘Intesa, è una delle tre battaglie in cui gli

Eserciti Alleati furono sorpresi dalla nuova tecnica tedesca’ dell ‘infiltrazione sperimentata per la prima volta a Riga ai pri‑mi

di settembre del 1917.

Dopo Caporetto, si ebbe la seconda, che comportò lo sfondamento delle linee inglesi in Piccardia (marzo 1918); la terza, lo sfondamento delle linee francesi sullo Chemin des Dames (maggio‑giugno 1918).

I tedeschi nelle tre battaglie attuarono lo stesso metodo di attacco, ottenenero gli stessi risultati tattici: lo sfondamento

 

 

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delle linee avversarie.

Caporetto fu la prima battaglia che produsse gli effetti psicologici maggiori. ma se gli Italiani furono accusati di imperizie, codardia ed altro, è curioso che Inglesi e Francesi, che avevano già visto i Tedeschi all ‘opera sulla fronte Giulia, non abbiano saputo prendere le adeguate contromisure e subirono gli stessi rovesci degli Italiani.

Ma durante i 1 corso degl i avvenimenti del 1 ‘ottobre ‑novembre 1917 gli italiani erano visti dagli Alleati in cattiva luce.

Nel momento in cui si verificò lo sfondamento, emersero tutti quei rancori che erano covati durante due anni di guerra. Riemersero le vecchie polemiche sull’entrata in guerra dell’Italia, vista come quel Paese che volesse prendere con il minimo sforzo tutto quello che una breve guerra poteva dare.

Alle prime notizie che giunsero in Francia e la _piega che gli avvenimenti di Caporetto stavano prendendo, i francesi capirono che occorreva intervenire.

Il fronte, in Francia, poteva essere aggirato da sud se gli italiani cedevano. Ostacoli all’intervento in Italia non vi erano nè da parte dell’opinione pubblica nè dall’Alto Comando.

La difesa collettiva dell’Intesa era già un concetto acquisito e dal I ‘inizio del 1917 era stata studiata l’eventualità di uno scambio di forze tra l’Italia e la Francia. Piani erano stati studiati, mentre progetti su larga scala approntati. In pratica, dal punto di vista tecnico, gli Stati Maggiori erano pronti e quindi non c’era che da mettere in esecuzione i piani.

Essendo i piani pronti occorreva una energica e sbrigativa decisione. Il 27 ottobre Painlevè, quando ormai ci si rende conto che non vi è possibilità di resistenza sull’Isonzo, chiama il Generalissimo Pètain e’ chiede quante Divisioni possono partire immediatamente per l’Italia. La risposta è sintetica: 6 Divisioni francesi.

Erano quelle forze che non furono date nei mesi precedenti e che avrebbero permesso di ottenere più consistenti risultati, se non quelli definitivi.

Domenica 28 ottobre i primi treni di truppe francesi partivano verso l’Italia. In media giungevano Italia 42 treni al giorno. Le” Divisioni erano del XII e XXXI Corpo d’Armata e due Divisioni di “chasseurs”. Costituivano la 10^ Armata agli Ordini del Generale Duchesne. Queste truppe non erano ben accolte dalla popolazione del basso Veneto e della bassa Lombardia ove si attestarono. La popolazione vedeva nel loro arrivo il prolungamento della guerra e del le pri vaz ioni .

Erano forze inviate senza che il Generale Cadorna le avesse espressamente richieste. Fu una decisione spontanea ed energica da

 

 

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parte francese.

Questa decisione rapida francese è in contrasto con quella inglese. Il Governo di Londra,, subito messo al corrente diel la situazione, acconsentì subito all ‘invio di forze. Chi si oppose fu il Capo di SM Robertson, che volle applicare il principio di “non allontanare un solo uomo dalla fronte principale”.

Di fronte a questa resistenza i Francesi reagirono fermamente; essi volevano a tutti i costi tamponare la falla italiana. 0 con gli Inglesi o senza gli Inglesi i Francesi sarebbero accorsi in Italia. Lloyd George, premendo su Robertson ed Haig, potè imporre il punto di vista del Governo: quattro Divisioni inglesi furono mandate in Italia. I Francesi fecero capire agli Inglesi che gli aiuti diretti erano quelli più efficaci in questa situazione di emergenza.

Il 30 ottobre Foch arriva in Italia. La sua presenza viene malamente interpretata dagli Italiani che non la accettano con molto garbo. Infatti si sta diffondendo l’idea di creare un fronte unico, che vada dalla Francia de 1 Nord a Venezia. Era naturale che il Comando di questo fronte fosse tenuto da un francese. E questo suonava. per gli Italiani, come una implicita accusa a non saper condurre come si doveva le operazioni. Cadorna era già un Comandante in capo sconfitto; con i suoi precedenti e con la sua spigolosità non aiutava ad una collaborazione priva di riserve.

Foch, giungendo in Italia aveva delle idee ben chiare.

Cadorna, che già il 31 ottobre, aveva già attivato la l’inea di resistenza del Paese, sperava che le annunciate Divisioni francesi ed inglesi potessero entrare in linea sul Piave per dare sollievo alla 3‑ e 4^ Armata italiana, che si assesteranno sul Piave, dopo un lungo e faticoso ripiegamento. Nel momento in cui la linea del Piave veniva attivata già siipotizzava l’immissione delle Divisione alleate.

Vi è subito una delusione per Cadorna. Foch autorizzò lo “scarico” delle Divisioni tra Padova e Vicenza ma non autorizza il loro proseguimento verso la linea del Piave.

Il 31 ottobre 1917 giunge in Italia il Generale Robertson.

Foch e Robertson non trovano di meglio che dare, dopo una riunione,_ solo dei buoni consigli a Cadorna. In pratica, pur dichiarando di volere aiutare gli Italiani, sia Foch che Robertson non autorizzano le proprie truppe ad entrare in linea. Gli italiani dovevano difendersi da soli.

Foch, è vero, si dette molto da fare in quei giorni, girando Comandi ed incontrando uomini politici. La realtà rimane quella descritta: le truppe alleate non entrarono in linea.

La pronta decisione dell’invio delle truppe francesi, dopo tanti rifiuti, la volontà di non farle intervenire immediatamente hanno

 

 

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la loro giustificazione nel fatto che i Francesi, preoccupati di vedersi minacciare il loro fianco meridionale, vogliono tamponare le falle apertesi nel settore italiano e siccome non si fidano molto dei nostri Generali, vogliono il cosidetto fronte unico. Fronte unico che dovrebbe essere messo al comando un Generale francese. Tale Generale doveva avere ai suoi ordini tutte le forze italiane ed era individuato nel Generale Pétain, Comandante in capo dell’Esercito francese.

Senza entrare nella polemica sia il Foch che Pétain che si contendevano questo nuovo comando (polemica non certo tranquilla se lo stesso spionaggio austriaco acquisì l’informazione che il Maresciallo Foch sarebbe divenuto Comandante del Fronte Unico e quindi Comandante dell’Esercito Italiano) il dato da rilevare è che i francesi avevano scarsa fiducia nella resistenza degli Italiani.

Occorreva andare a tamponare la falla, per la propria sicurezza. Gli inglesi, più riluttanti, seguirono i Francesi di malavoglia.

Intanto che le truppe italiane si stavano ritirando, gli Inglesi e i Francesi progettavano di inviare in breve tempo almeno 30 Divi soni .

Quello che in parte sorprese fu l’impiego di quelle già giunte. Esse vennero tenute tra Brescia e Mantova. Era chiaro l’intendimento anglo‑francese di intervenire, manovrando, se gli italiani non avessero tenuto sul Piave. Ma delle 30 Divisioni che si doveva inviare a fine ottobre, via via che i giorni passavano e gli italiani dimostravano di poter tenere, ben presto i priani si modificano scendendo prima a 20 e poi a 12, poi ad Il Divisoni.

Ovvero, quando si dimostrò che il fronte italiano, tenuto da Italiani, . poteva tenere, gli Anglo‑Francesi videro il pericolo allontanarsi, quindi non si imponeva più la necessità di inviare truppe in Italia.

Alla fine di dicembre, quando ormai era stata vinta la battaglia di arresto, allora gli Alleati entrarono in linea.

E’ qui che si coglie il significato delle iniziative alleate in Italia. mandare truppe per tamponare le falle nel fronte italiano, per impedire agli Austro‑Ungarici di arrivare alle Alpi Piemontesi; una volta arrivate in Italia queste truppe vennero tenute in riserva, per vedere come andavano le cose.

Nel momento in cui gli Italiani resistono, allora il pericolo si allontana e quindi non è il caso di mandare altre truppe.

Un’altra iniziativa che merita cenno è la Conferenza di Rapallo del 7 novembre.

Vi parteciparono Lloyd George, Painleve e Sonnino. Per i militari i Generali Smuts e Robertsen (Inghilterra); i Generali Foch, Wygand, de Gondrecaert e il Sig. Franklin‑Buillon, membro del Comitato di Guerra (Francia); Porro e il Col. A. Gatti (Italia).

 

 

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Per 1 ‘Italia da notare la scarsezza dell ‘elemento militare, e si era in guerra. L’8 novembre, furono stilati quelli che sono gli Accordi di Rapallo, che vengono riportati in Allegato ‘T2″.

Nel Nuovo Consi 91 i o Interal 1 eato 1 ‘ Ital i a era rappresentata da Cadorna. Fu presentata come una promozione, in realtà fu trovato un modo elegante per allontanarlo dal Comando Supremo.

Il Consiglio doveva dare una unità d’intenti agli sforzi degli Alleati. Ma il problema di fondo rimaneva.

Da più parti si chiedeva un Comandante interalleato, un Generalissimo. Non erano i tempi. Anche in campo austrotedesco non si riuscì a nominare un Generalissimo che avesse ai suoi ordini i due eserciti.

Caporetto, produsse molte iniziative in campo alleato: ma non si andò oltre un limite che la miopia degli uomini di governo di allora in varie occasioni avevano mostrato.

 

  1. 1 RAPPORTI FRA ALLEATI

 

  1. Generalità

 

In linea generale i rapporti interni fra gli Alleati della

Intesa e quelli     degli Imperi Centrali non furono semplici

e lineari, ma irti di                   grandi difficoltà.

I Francesi, che con la loro propaganda avevano creato il mito del “rullo compressore russo”, alla prova dei fatti si mostrava­no sempre più delusi dallo sforzo russo.

Se ancora vi era un senso di gratitudine francese per Pietrobur­go per 1 ‘aiuto del 1914, questo era però compensato dal fatto che nel 1915 era stata Parigi a portare aiuto ai Russi.

In realtà i Francesi’constatavano che i Russi impegnavano “solo” un milione e mezzo di soldati germanici, mentre gli Alleati in Francia ne occupavano 2.300.000.

1 Russi replicavano che solo loro avevano prodotto panico nell’Esercito tedesco e che, dopotutto, erano a poca distanza dall’Ungheria. Il nodo dei rapporti franco/russi era la consegna di armi ed esplosivi da parte francese. I Russi avevano bisogno di materiali ad ogni costo e subirono indicibili umiliazioni e ferite alla loro sensibilità.

I Russi poi avevano forti risentimenti con gli Inglesi. L’accusa era qualla di far la guerra con i soldati degli altri, e di perseguire fini parti col ari . Inoltre Pietroburgo lamentava l’ingerenza di Londra negli affari interni della Russia, soprattutto in campo economico e nella Marina. Inoltre poi vedevano frustrati i loro sforzi di ottenre prestiti, che Londra concedeva a condizioni molto gravose. Infine vedevano nella

 

 

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politica inglese nel Mediterraneo la conferma della volontà di tenerli lontani dagli Stretti.

I rapporti franco‑inglesi erano definiti come una guerra nella guerra.

La politica inglese del 1914 risvegliò il carattere anglofobo della politica francese, e distrusse i frutti dell’Intesa Cordiale. Londra voleva battere le vie della pace con la Germania e questo fu interpretato da Parigi come un volersi non impegnare.

Nel 1914, quando i Francesi stavano vivendo il più grande dramma della loro storia, non approvarono e poi non dimenticarono la volontà inglese di French, Comandante in capo, di reimbarcarsi o al massimo di riparare dietro la Senna. Le due offensive inglesi del 1916, con la perdita di oltre un milione di soldati, non valsero a recuperare il terreno perduto.

Anche i Francesi accusavano gli Inglesi di combattere con i soldati altrui (34). Il risultato fu che ‘non si’ riuscì mai ad avere un Comandante unico.

Gli Inglesi, di contro, non erano da meno. Essi sostenevano che i francesi avessero molto da imparare nel condurre una guerra. Dopo tutto Waterloo, Fascioda e Sedan non erano poi eventi non riflettenti una certa mentalità e capacità. Infine gli Inglesi rimproveravano aspramente i Francesi di non tenere soverchi conto delle perdite di uomini.

Ancora più significativi i rapporti che intercorrevano* tra i membri dell’Intesa ed il Belgio.

Il Re voleva difendere, per onore, l’ultimo metro di terra del Belgio. Da neutrale, però, voleva restare fedele ai Trattati, non avendo niente a che fare nè con l’Intesa nè con l’occupante tedesco. Questi proèlamava che aveva invaso il Belgio per prevenire un’ analoga francese, quindi, era una azione pienamente militare.

In pratica il Belgio pensava solo ai fatti suoi, non sentendosi se mai conseguentemente, ai vincoli alleati. Tutta la sua azione fu improntata al massimo egoismo.

Nell’ambito dell’Intesa i rapporti fra i propri componenti non furono mai nè semplici nè fattivi. Egoismi, miopie, riserve mentali, erano la norma, espressione di classi dirigenti e leadership ancora molto in ritardo e con gli avvenimenti e con i compiti da assolvere.

Questo si mostra ancora più evidente se si guardano più da vicino le relazioni internazionali di quegli anni.

La Germania era il miglior cliente dell’Impero Britannico. A Londra si adottò la formula “Business as usual”.

Furono esportazioni molto consistenti. L’Inghilterra, o tramite

 

 

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1 1 01 anda (cacao) o 1 a Svezi a e Dani marca f orni va cotone, pesce . caucciù e prodotti di prima necessità e cemento. Si può dire che i famosi block house tedeschi sul fronte occidentale erano fatti in gran parte con cemento inglese. Ma ancora più grave fu la continuazione del l’esportazione dei semi tropicali, con cui si faceva la glicerina, base per gli esplosivi.

La Germania ne era completamente sprovvista. L’Inghilterra li vendeva alla Danimarca che poi li vendeva alla Germania. Lo stesso accadeva per il rame.

Dalla Russia arrivavano prodotti strategici e metalli preziosi. Dalla Francia arrivavano in Germania foraggi e bovini;

Dalla Germania in Francia invece arrivavano proiettili. Ed i soldati erano chiamati ad assolvere coscientemente i loro doveri.

I rapporti fra gli Alleati erano improntati, alla fin fine, ad egoismo e scarsa lungimiranza. Ogni Stato tendeva a sottomettere e spogliare non soltanto i nemici che combattevano ma anche l’alleato. Da questi esigeva il possibile e l’impossibile.

Ogni attrito veniva ingigantito e sfruttato ai propri fini. Non si voleva cedere, nè un soldato nè tantomeno una fetta di potere decisionale.

I Francesi diffidavano degli Inglesi, questi scarsamente consideravano i Francesi. Nessuno aveva rispetto dell’altro. Per noi Italiani, poi, la considerazione di Francesi e di Inglesi era molto bassa. Nel momento in cui la sconfitta dell`ottobre 1917 si palesa i Generali francesi ed inglesi scendono sul fronte del Piave a dare consigli e a pavoneggiarsi : nessuno più propone di far entrare in linea le proprie truppe. Non si voleva rischiare più di tanto. Gli Italiani dovettero tirarsi fuori dalla critica situazíone da soli.

I rapporti tra gli Alleati dell’Intesa erano dei meno auspicabili possibili. Avevano uno pirito ben distante da quello che animò gli Italiani dall’ottobre del 1917 alla Vittoria (significativo un brano di Paolo Caccia Dominioni riportato in Allegato ‘T2″).