Giovanni Battista Birotti Soldati e contadini. L’esercito giapponese nel periodo Meiji (1868-1912)

 

Il periodo Meiji[1] portò ad una Rivoluzione più che ad una Restaurazione, traghettando il Giappone nell’Età contemporanea.

Le Istituzioni Militari non sono un principio innovatore in nessuna civiltà, in quanto servono a tutelare un ordine preesistente; tuttavia anch’esse hanno dovuto prendere parte al cambiamento, difenderlo davanti a figure conservatrici e poi farsi paladine di un nuovo ordine, non poi così lontano dai princìpi che regolavano l’antico Giappone.

Si può quindi tracciare un excursus sul passaggio dall’antica società nipponica a quella ottocentesca, usando l’esercito come riferimento.

Verrà messo in luce come una civiltà di casta dovrà obtorto collo divenire o fingersi di massa al fine di inserire negli ingranaggi politici e militari l’intera popolazione.

Il primo passo di questo inserimento sarà quello di coscrivere nuovi soldati in un esercito di massa raccogliendoli in ciascuna delle ex caste[2] presenti in Giappone, prima fra tutte quella dei contadini, la più povera e la più numerosa.

 

  1. La transizione storica

Il periodo Meiji è definito Restaurazione, poiché a partire dal secolo VII, il potere dell’Imperatore passò progressivamente nelle mani delle più potenti famiglie aristocratiche. Nel 1336 un imperatore Daigo II tentò di ripristinare il governo effettivo da parte del Sovrano.

Un tentativo anacronistico, già per l’epoca, in quanto il potere era, da secoli, passato allo shogun. Con shogun, si indicavano originariamente i potenti capi militari, secoli più tardi, passò a identificare il detentore, pressoché assoluto, del potere. Lo shogun era a capo del Bakufu, letteralmente “governo della tenda”, riferito alla sua antica posizione di generale che impartisce ordini sul campo.

L’epoca moderna del Giappone ed il suo inserimento nelle relazioni internazionali ebbe inizio l’8 luglio del 1853, quando  il commodoro statunitense M. G. Perry, protetto dai cannoni delle sue navi entrò nel porto di Edo, (l’attuale Tokyo) ed impose un trattato che aprì alcuni porti al commercio americano.

Prima di allora l’Impero era rimasto per secoli  inaccessibile agli stranieri, chiuso in un universo di tradizioni medioevali sotto l’autorità, sebbene effimera, dell’imperatore, relegato a Kyoto e ritenuto una divinità.

A capo del potere politico effettivo vi era lo Shogun o Grande generale, carica divenuta dal 1187 monopolio di poche potenti famiglie.

Il territorio era diviso in 300 signorie aventi ognuna a capo un autocrate semi indipendente, il daimyo, ben separate e spesso in guerra fra loro.

L’unica istituzione militare era rappresentata dai samurai, aristocratici guerrieri la guardia armata dei daimyo. Dai samurai dipendevano i kachi (fantaccini) e gli ashigaru (fanti leggeri), la manovalanza armata.

I samurai avevano in pace funzioni civili e in guerra erano ripartiti sotto unità e capi designati. Questa casta guerriera doveva uniformarsi ad un codice di leggi morali il bushido (da bushi, guerriero e do via): la Via del Guerriero, dottrina che includeva principi di onore e di lealtà, codificata nel libro Hagakure[3] scritto nel secolo XVII dall’ex samurai Tsunetomo Yamamoto.

I samurai portavano due spade: la katana lunga, ed il wakizashi  più corta, l’uso delle quali era regolato da una minuziosa etichetta: si addestravano con la scherma, il tiro con l’arco, con gli archibugi e l’artiglieria, introdotta in Giappone verso al fine dello shogunato degli Ashikaga nel secolo XVI. A cavallo  preferivano l’arma bianca che permetteva loro di mettere meglio in mostra il proprio valore.

Dopo gli Stati Uniti, altre potenze europee conclusero, o imposero, trattati commerciali ai giapponesi ma la loro penetrazione fu lenta e sanguinosa.

L’odio contro i “barbari”, lungamente covato, esplose con ripetuti massacri che negli anni Sessanta dell’Ottocento provocarono il bombardamento di diversi porti da parte di navi inglesi, francesi, olandesi ed americane.

La facilità con la quale  le potenze straniere ebbero ragione della resistenza giapponese, imputata alla politica debole ed arrendevole dello shogun, accrebbe l’avversione verso quest’ultimo ed il favore verso il Mikado (l’Imperatore) e fece sentire la necessità di restaurare l’Autorità Imperiale, di accettare le istituzioni straniere e di difendere con nuovi ordinamenti l’integrità dell’impero.

Nel 1867, morto il Mikado Konei e succedutogli il quattordicenne Matsuhito, scoppiò la rivoluzione contro lo Shogun e nel 1868 le forze congiunte dei ribelli proclamarono la Restaurazione imperiale.

L’imperatore si tolse dal suo isolamento e adottò forme di governo moderne: il feudalesimo fu abbattuto e con esso scomparvero molti privilegi; il potere dei daimyo fu soppresso e  sostituito da quello dei governatori; fu proclamata l’uguaglianza di tutte le classi davanti alla legge e le istituzioni politiche andarono via via modellandosi su quelle europee.

Il compito di organizzare un moderno esercito nazionale fu assunto da Yamagata Aritomo samurai di rango inferiore che era stato inviato per una anno in Europa.

Nel 1873 Yamagata era ministro degli affari militari e nel gennaio varò immediatamente la riforma che avrebbe avuto l’impatto più violento nella società nipponica: la coscrizione militare obbligatoria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. La costruzione di un moderno esercito

La coscrizione obbligatoria varata da Yamagata imponeva a tutti i cittadini abili, esclusi soltanto quelli che avevano riportato condanne penali, di prestare il servizio militare dai 17 ai 40 anni. Erano ammessi i volontari ordinari ed i volontari di un anno.

Questi ultimi dovevano aver superato esami corrispondenti a quelli di licenza dei licei superiori, dovevano equipaggiarsi  a loro spese e non ricevevano alcuna indennità; dopo aver superato altri particolari esami, potevano divenire ufficiali della riserva od essere ammessi alla scuola militare ed essere poi nominati ufficiali effettivi.

Il contingente di leva fissato annualmente con decreto imperiale era ottenuto mediante estrazione a sorte fra gli iscritti idonei al servizio che avevano compiuto il ventesimo anno di età.

La durata del servizio nell’esercito attivo era fissata, per principio, a tre anni per tutte le armi, salvo alcune eccezioni di congedamento anticipato, specialmente nella fanteria, per esigenze di economia di forza bilanciata.

Al termine del servizio sotto le armi, gli uomini passavano alla riserva dell’esercito attivo dove rimanevano per quattro anni e quattro mesi e venivano generalmente richiamati per due periodi di manovre dei quali uno di un mese e l’altro di quindici giorni.

Degli iscritti abili al servizio rimasti in eccedenza dopo la chiamata del contingente annuo, un certo numero, fissato annualmente ed ottenuto mediante estrazione a sorte era destinato a costituire la riserva speciale di reclutamento della forza pari a circa un quarto del contingente annuo assegnato all’esercito attivo per un periodo di permanenza di sette anni e quattro mesi. Gli appartenenti a questa riserva, venivano, nel primo anno, aggregati ai corpi per classi successive e vi compivano un periodo di istruzione di quattro mesi; venivano poi richiamati nel secondo e quarto anno per altri due periodi di istruzione di sessanta giorni ciascuno.

Ultimato questo periodo gli uomini venivano trasferiti, al pari di quelli provenienti dall’esercito attivo e dalla sua riserva, nell’esercito di seconda linea, corrispondente alla milizia degli altri paesi e vi rimanevano dieci anni. In fine questi passavano nella prima parte dell’esercito territoriale fino al compimento dell’obbligo di servizio, senza ricevere altre istruzioni. Tutti gli idonei al servizio da i 17 ai 40 anni , che non erano stati assegnati ad alcuna delle citate categorie dell’esercito, formavano la seconda parte dell’esercito territoriale:

non ricevevano alcuna istruzione e restavano a disposizione del Ministero della Guerra per essere impiegati, in caso di necessità, a rinforzo dell’esercito attivo, dopo essere stati rapidamente istruiti.

Valutazioni occidentali dell’epoca sulle forze di terra nipponiche stimavano che , complessivamente, l’esercito poteva contare su 3 categorie di uomini:

Soldati istruiti: esercito attivo e riserva esercito attivo, 645.000 unità ; riserve comprendenti la seconda linea e la prima parte dell’esercito territoriale che riguardava i provenienti dall’esercito attivo 760.000, per un totale di 1.405.000 unità.

Soldati con qualche istruzione: riserva speciale di reclutamento e la prima parte  dell’esercito territoriale relativa agli uomini provenienti dalla suddetta riserva di reclutamento 220.000 unità.

Soldati non istruiti: seconda parte dell’esercito territoriale 5.000.000 unità[4].

L’ordinamento militare permanente prevedeva le autorità centrali, l’organizzazione territoriale e l’esercito attivo.

Le autorità centrali erano rappresentate dall’Imperatore, Dai Gensui: Capo Supremo di tutte le forze dell’impero, assistito da un Consiglio di Marescialli e da un Consiglio Superiore di Guerra.

Alle dirette dipendenze dell’imperatore esistevano tre organi indipendenti tra loro: il Ministero della Guerra che si occupava del personale militare e degli affari militari generali, lo Stato Maggiore Generale, suddiviso in 5 reparti:

  • Difesa dell’Impero, Statistica degli Eserciti Esteri;
  • Comunicazione e Trasporti;
  • Geografia e Topografia,
  • Ufficio Storico;
  • Direzione dell’Istruzione Militare, dalla quale dipendevano le scuole ufficiali, le scuole di specializzazione d’arma e corpo e gli ispettorati d’arma.

L’organizzazione militare territoriale si articolava in 18 circoscrizioni divisionali corrispondenti alle 18 divisioni dell’esercito (eccettuata quella della Guardia) che interessavano tutto il territorio del Giappone ad esclusione dell’isola di Formosa e della Corea.

Ogni circoscrizione era ripartita in due distretti di brigata a loro volta suddivisi in due distretti di reggimento. Ogni reggimento di fanteria reclutava nel corrispondente distretto di reggimento, in modo che gli uomini prestassero generalmente servizio  nella loro provincia; le altre armi reclutavano , per ciascuna divisione , nei quattro distretti appartenenti alla divisione stessa.

La fanteria e la cavalleria della Guardia reclutavano in tutte le circoscrizioni divisionali in quanto per esse si arruolavano gli uomini più prestanti di ogni provincia mentre per l’artiglieria, per il genio e per il treno il personale veniva reclutato nella circoscrizione divisionale di Tokyo e dintorni.

L’esercito attivo comprendeva 19 divisioni (delle quali una della guardia), quattro brigate di cavalleria, tre brigate di artiglieria da campagna, tre gruppi di artiglieria da montagna, due brigate e due reggimenti autonomi e 10 battaglioni autonomi di artiglieria pesante, due batterie di artiglieria a cavallo, una brigata comunicazioni, gendarmeria.

In tempo di pace non esistevano grandi unità superiori alla divisione; queste venivano costituite in tempo di guerra od in occasione di grandi manovre.

La divisione era formata da: un comando, due brigate di fanteria ciascuna su due reggimenti, un reggimento di cavalleria su tre squadroni, un reggimento di artiglieria su due gruppi, un battaglione genio, un battaglione treno.

Le brigate di cavalleria erano di due reggimenti su quattro squadroni e venivano assegnate in tempo di guerra, alle divisioni, oppure a seconda delle necessità agivano indipendentemente. In caso di assegnazione alle divisioni il comandante  della brigata di cavalleria aveva alle proprie dipendenze anche il reggimento di cavalleria dvisionale.

Delle tre brigate di artiglieria da campagna, su due reggimenti, una era assegnata alla divisione della Guardia, le altre due a seconda delle necessità come per la cavalleria. Le unità di artiglieria pesante erano alle dipendenze dei comandanti delle divisioni nel cui territorio erano dislocate.

La brigata comunicazioni era costituita da un reggimento ferrovieri su tre battaglioni, un battaglione telegrafisti ed un battaglione aerostieri.

Le guarnigioni stanziate al di fuori del Giappone , nell’isola di Formosa ed in Corea, avevano degli effettivi pari, all’incirca, all’organico di una brigata, pertanto costituivano una ventesima divisione.

Alla fanteria comprendeva 76 reggimenti[5] su tre battaglioni di quattro compagnie; la compagnia era formata da 5 ufficiali, 12 sottufficiali e 139 soldati (213 in tempo di guerra).

Ad ogni reggimento era stata assegnata pure una batteria di 6 mitragliatrici suddivisa  in tre sezioni.

Il fante era armato del fucile (con sciabola baionetta) modello “Arisaka 1905”, praticamente un’imitazione del Mauser, di calibro 6.5 mm e con alzo graduato fino a m 2.400 . Le mitragliatrici erano del sistema Hotchiss ed usavano lo stesso munizionamento del fucile.

La cavalleria formava 19 reggimenti divisionari su 3 squadroni e 8 reggimenti delle brigate su quattro squadroni, per un totale di 84 squadroni. Lo squadrone era composto da 5 ufficiali, 12 sottufficiali e 124 soldati. Ad ognuna delle brigate indipendenti era assegnata una batteria di 8 mitragliatrici dello stesso tipo di quelle della fanteria e che poteva venir suddivisa fra i due reggimenti. L’armamento in dotazione alla cavalleria era la sciabola leggermente curva e la carabina Ariska 1905, dello stesso modello del fucile della fanteria ma di lunghezza ridotta, senza baionetta e con alzo graduato a m 2000. I cavalieri della Guardia erano provvisti anche di lancia.

L’artiglieria da campagna era ordinata su 25 reggimenti costituiti da due gruppi di 3 batterie, ognuna di 6 pezzi e 6 cassoni trainati da tre pariglie di cavalli, totale 150 batterie con 900 pezzi. 19 reggimenti erano assegnati come artiglieria divisionale; i sei rimanenti formavano le tre brigate indipendenti.

In caso di mobilitazione le riserve costituivano ulteriori 125 batterie con 750 pezzi, che portavano la disponibilità complessiva di questa specialità dell’arma a 1650 pezzi. L’artiglieria da campagna aveva partecipato alla guerra russo-giapponese con il vecchio cannone Ariska del calibro di 75 mm privo di scudo e con prestazioni poco soddisfacenti.

Al principio vennero acquistati dalla Casa tedesca Krupp 400 cannoni a tiro rapido da 75 mm ed in seguito la Krupp fornì i lingotti d’acciaio per la lavorazione dello stesso tipo di cannone da effettuarsi nell’arsenale di Osaka. Eventi antesignani di una futura alleanza.

L’artiglieria a cavallo aveva gli organici di quella da campagna ed era dotata dello stesso pezzo da 75 mm 1905 con affuso alleggerito per consentire il traino al galoppo.

L’artiglieria da montagna consisteva di 3 gruppi su 3 batterie di 6 pezzi, queste ultime  in caso di mobilitazione aumentavano a 18 con 108 pezzi. La bocca da fuoco era il vecchio Arisaka da 75 mm . L’artiglieria pesante campale, da costa e d’assedio aveva organici diversi. L’armamento comprendeva cannoni da 100, 105, 120 e 240 e obici da 120 e 150. Il genio costituiva 19 battaglioni  (38 in caso di mobilitazione) con il personale addestrato per lavori di campagna (zappatori e minatori) e nell’impiego del materiale da ponte.

 

  1. Cenni sulla dottrina di guerra del nuovo esercito

La dottrina di guerra giapponese era tutta orientata sull’offensiva: dava la debita importanza all’azione di fuoco ma riteneva indispensabile l’intervento dell’uomo con il suo coraggio e la sua energia per decidere l’esito del combattimento e per assicurare la vittoria che doveva essere conseguita a qualunque costo senza mai cedere un palmo di terreno al nemico.

Pur prescrivendo l’azione combinata delle varie armi, essa considerava la fanteria l’arma principale, alla quale le tre armi dovevano dare il loro contributo per sostenere l’azione.

Il fante era il più diretto erede dello spirito glorioso dei samurai: doveva impegnarsi in qualunque circostanza di luogo e di tempo e portare a termine il combattimento anche senza l’appoggio delle altre armi.

Il fuoco costituiva per la fanteria un potente mezzo d’azione, ma era l’attacco alla baionetta che doveva rappresentare l’episodio risolutivo dello scontro.

La cavalleria non aveva particolari formazioni di combattimento: doveva essere impiegata a massa ed il suo mezzo d’azione era l’arma bianca.

Anche per  l’artiglieria era prescritto l’intervento a massa: il suo compito era quello di iniziare il combattimento portando in linea il maggior numero di pezzi per conquistare rapidamente la superiorità sull’artiglieria avversaria mediante una potente concentrazione di fuoco.

In conclusione pur avendo assorbito molte caratteristiche occidentali relativamente alle formazioni alle armi ed alla organizzazione in generale l’esercito giapponese mantenne il suo carattere orientale con la disciplina portata allo stremo, la più che limitata iniziativa dei subordinati ad ogni livello e l’assoluta obbedienza fino all’estremo sacrificio.

 

  1. Il nohei: il soldato contadino.

Sviluppi e forme della coscrizione obbligatoria

 

                          4.1 Il significato di nohei e il suo legame con l’età contemporanea

Poco o nulla il Giappone ottocentesco ha a che vedere con il nohei. Si offre a questa figura il titolo del presente paragrafo per mettere in luce il quid sociale e individuale della coscrizione e della dottrina militare del Giappone ottocentesco: l’esercito di massa. Il quale sarà poi alla base del Giappone militarista ed espansionista.

Il nohei, come poi verrà descritto, è una figura dell’antico Giappone: un contadino anche benestante, capace di prendere in mano delle armi di fortuna, non la katana che gli era proibita, pur di difendere i propri interessi.

Non è un rivoluzionario ma una figura tipica del Giappone “feudale”[6], che con le rivolte dei contadini ha caratterizzato la civiltà nipponica tradizionale.

Nell’età contemporanea verrà imposto alla ex casta dei contadini di arruolarsi e di credere fermamente nella difesa della nazione, come stava avvenendo anche nell’Italia post-unitaria.

Il nohei è un parallelo, che non coincide dal punto di vista delle idee ottocentesche in quanto le istituzioni politiche giapponesi certo non lo mettevano a modello, ma fornisce una visione di quello che poteva essere uno “spirito guerriero” presente in una classe popolare e proletaria e non aristocratica o borghese.

Nel presente paragrafo si evidenzieranno dopo un cenno al nohei, le criticità e le potenzialità della coscrizione obbligatoria e del ruolo della classe popolare alla luce dello sviluppo militare e politico del Giappone novecentesco.

La cultura militare, sviluppatasi nei secoli, aveva sempre più relegato ogni casta al proprio posto e mai vi fu cenno di quell’istituzione, abbastanza nuova anche per l’Occidente, che è la coscrizione obbligatoria.

Sebbene fin nell’Antica Roma si possano trovare delle tracce, quella in questione è squisitamente inerente alla Società di massa e a quei cambiamenti politici e culturali, avvenuti con la Rivoluzione Francese e con l’Epoca napoleonica. Questa cultura sarà fondamento dello spirito militarista ed espansionista negli anni a venire.

La coscrizione venne introdotta in Giappone nel 1873. Già prima della Restaurazione tanto il decadente governo feudale di Edo, quanto i capi dei clan più avanzati si rendevano conto che i tempi richiedevano un radicale cambiamento del sistema militare.

Tuttavia i pregiudizi di casta delle autorità, specialmente della burocrazia Tokugawa[7], facevano loro aborrire l’idea di addestrare e armare dei contadini che avevano dimostrato una crescente resistenza all’oppressione feudale.

Anche la nuova classe dominante Meiji, in buona parte caratterizzata dalle ex famiglie feudali nemiche della famiglia Tokugawa, non gradiva l’idea di armare l’intera popolazione giapponese, ma in quel frangente storico ciò si rendeva inevitabile.

La ragione principale cui si deve l’adozione della coscrizione è vista in parte come paura dell’Occidente, ma soprattutto come timore controrivoluzionario da un lato, e per una  rivoluzione democratica dall’altro.

Tanto rivoluzionaria era infatti l’idea della coscrizione generale, che il suo più forte sostenitore , Omura Masujiro, fu assassinato nel 1869, quando era viceministro della guerra, dai samurai reazionari del suo stesso clan oltraggiati dalle sue idee.

Per capire la nascita della coscrizione giapponese attraverso i presupposti storici è utile isolare il contesto.

4.2 Il nohei e il popolo

L’idea della coscrizione non nacque dall’ardente richiesta della levée en masse, cioè di un esercito popolare che combattesse in difesa di un giovane e battagliero regime rivoluzionario, come in Francia durante la Grande Rivoluzione. Va invece rintracciata nella necessità di:

  • Allineare il Giappone alla potenza delle nazioni Occidentali;
  • Neutralizzare spinte conservatrici vicine al decaduto clan Tokugawa;
  • Creare una nuova forma identitaria sia sulla base dell’antica dottrina, che sulla base di concezioni politiche nuove, da offrire alla popolazione affinché questa non si lasci travolgere da spinte rivoluzionarie di tipo democratico-occidentale

Per descrivere il rapporto della popolazione con le Istituzioni si può far cenno a quello tra i contadini e i feudatari in varie epoche della storia giapponese.

Si può per esempio parlare dell’antichissima Riforma Taika (645-50 d.C.), che consolidò le grandi proprietà terriere chiamate shoen, segnando l’inizio del feudalesimo e il declino dei contadini semi-indipendenti[8], e che condusse infine alla completa sottomissione dei contadini alle classi  daimyo-samurai durante il feudalesimo Tokugawa.

E’ necessario sottolineare che il contadino o agricoltore agli inizi del feudalesimo era spesso un piccolo proprietario armato e risoluto, forse anche miglior combattente che agricoltore, che si raggruppava con i suoi compagni per resistere alle prepotenze dei baroni affamati di terre.  Tuttavia, alla fine, cercando di sfuggire ai pericoli di una società fluida e anarchica, si affidava a qualche potente protettore, e così assoggettandovisi.

Anche le grandi rivolte contadine (tsuchi-ikki) del periodo Muromachi (1392-1490) dimostrarono che i contadini erano tutt’altro che inermi di fronte alla crescente pressione feudale

Le rivolte contadine non mancarono nel Giappone antico, come non mancarono le repressioni: l’atto più drammatico dell’attuazione di questa politica fu la caccia alle spade di Hideyoshi nel 1587.

Secondo le parole di uno studioso giapponese che  descriveva l’importanza della politica di Hideyoshi:

 

“Questi risoluti contadini che, prendendo le armi, erano scesi con altri sul campo di battaglia, ora diventavano sottomessi e docili e la ragione principale di questo fu senz’alcun dubbio, la caccia alle spade di Hideyoshi.”[9]

 

Tuttavia Hideyoshi si limitò ad attuare su scala nazionale ciò che i signori meno importanti erano andati facendo dopo le grandi insurrezioni del periodo Muromachi, come la caccia alle spade del principe Shibata Katsuie  nel 1578, che disarmò i contadini per rendere stabile il potere feudale.

Il “soldato-contadino” era anche una figura positiva per diversi personaggi della storia antica giapponese: uomini come Kumazawa Banzan (1619-91), Ogyu Sorai (1666-1728), e Fujita Toko (1806-55) ritornavano con sentimenti nostalgici al tempo precedente lo shogunato, quando soldato e contadino erano la stessa persona: il contadino soldato in un periodo di crisi abbandonava la zappa, prendeva la sua lancia e rispondeva all’appello.

Uno dei più aperti critici del dominio Tokugawa fu Rai Sanyo (1728-1832), che scrisse eloquentemente di un tempo in cui non vi era una classe militare separata e la società come lo Stato non era divisa in militare e civile: di un periodo che non conosceva l’autorità né il nome di un dittatore militare (lo shogun) che esercitava un potere, usurpato che sarebbe dovuto, per prerogativa e tradizione, rimanere legato alla persona dell’imperatore.

 

4.3 Esempi di nohei a cavallo tra l’era tradizionale e quella contemporanea

Il nohei non rappresentava unicamente un contadino avvantaggiato che difende dei propri interessi, ma anche schiere di contadini arruolatisi al servizio dei propri daimyo o direttamente dei principi più importati, sino allo stesso imperatore. Questo soprattutto dal punti di vista ideale, e sarà proprio questa la base dell’ideologia militare di massa che si è sviluppata dalla Restaurazione Meiji.

Ecco alcuni esempi di nohei nei clan aristocratici giapponesi.

Nel clan Tosa fu istituita nel settembre 1854 una milizia popolare, il Mimpei. Gli ufficiali e i quadri di questa milizia erano ronin: “samurai senza padrone”, i quali per diverse ragioni non erano più legati ad alcun signore, capi villaggio e goshi[10]; mentre la truppa era in gran parte composta da contadini, marinai e cacciatori.

La principale funzione di questa milizia era quella di sorvegliare le coste del Tosa, che erano esposte al mare su tre lati.

Un esempio di nohei al fianco dell’imperatore durante la Restaurazione fu creato nel clan Ashikaga nel 1865.

Nel clan di Kii Tsuda Mataro iniziò nel 1863 ad addestrare uomini di tutte le classi all’uso delle armi occidentali. Nello stesso anno soldati di questo corpo presero parte all’insurrezione anti Bakufu di Gojo, nello Yamato guidato dal nobile di corte Nakayama Tadamitsu.

 

Nello stesso clan, poco dopo la Restaurazione, fu assunto un soldato tedesco, il sergente Karl Kiöppen, per dare un’istruzione militare nel più moderno stile occidentale; egli riuscì ad addestrare un corpo di 5000 uomini, dando a questo clan, negli anni precedenti la coscrizione, un’altissima reputazione per la sua preparazione militare.

Interessante è l’esempio di nohei del clan Kiheitai nel Choshu. Con l’entrata del Bakufu nel suo ultimo decennio di governo, gli uomini del Choshu, tra tutti i clan il più ostile e aggressivo verso il Bakufu, erano impegnati in intrighi, complotti e sommosse violente dirette contro il Bakufu.

I capi del movimento anti-Bakufu erano i ronin e i samurai di rango inferiore, uomini inquieti e immiseriti la cui febbrile attività a Kyoto culminò nei sanguinosi combattimenti per le strade del 1865 dopo i quali il Bakufu ottenne un decreto imperiale che li cacciava dalla Capitale e costringeva il loro signore a ritirarsi ormai in disgrazia e a vivere per un anno o più in condizione di arresto domiciliare.

Takasugi espone al signore del suo clan le proprie posizioni riguardo al confronto tra samurai e contadini guerrieri il 6 gennaio 1863:

 

“I samurai stipendiati sono diventati molli e indolenti per anni di pace e di ozio, le loro qualità marziali intorpidite e, per rinvigorire un esercito, occorre reclutare volontari dotati di spirito coraggio e capacità, indipendentemente dalla loro classe, siano essi samurai, contadini o artigiani”.[11]

 

 

4.4 La coscrizione e la Rivoluzione Meiji

Dai paragrafi precedenti si evince una certa potenzialità bellica dell’intera popolazione giapponese, anche di quella che nei secoli antecedenti al 1868 era esclusa dall’uso delle armi.

Sulla base di tale potenzialità il governo Meiji si impegnerà a costituire un esercito di massa, volto a consolidare il potere governativo di fronte alle alee reazionarie della ex aristocrazia e della popolazione.

Una figura centrale nella modernizzazione politica e militare del paese in tal senso è Omura Masujiro.

Un uomo ricco di immaginazione, che E. H. Norman descrive così: “colui che merita forse più di chiunque altro il titolo di fondatore del moderno esercito giapponese”.

Con le sue idee di vaste riforme sociali come presupposto per un esercito nazionale, e in particolare con il suo piano di coscrizione generale, che colpiva proprio la roccaforte del privilegio samurai, Omura sollevò il violento risentimento dei reazionari del clan.

Omura Masujiro fu assassinato nel 1869, quando come viceministro della guerra, aveva cominciato a compiere i primi passi verso la meta della coscrizione generale e verso la modernizzazione dell’esercito giapponese.

Lasciò dietro di sé un gruppo di discepoli, come Yamagata Aritomo, Yamada Kengi e Kido Koin, che vissero tanto da completare la sua opera.  Possiamo dire che in una certa misura il Kiheitai fu insieme rivoluzionario e anti-Bakufu.

Intanto il governo Meiji era assai più preoccupato dai problemi del controllo delle rinnovate rivolte agrarie antifeudali e gli ex samurai sognavano un ritorno ai giorni in cui la classe militare dominava e di conseguenza aspiravano a spingere il paese in un’avventura militare, ad esempio durante l’agitazione per una campagna contro la Corea nel 1871-72.

L’uso della forza bruta per reprimere l’agitazione agraria non rappresentava la più felice tra le soluzioni del problema; era l’ultima risorsa, da usarsi, inesorabilmente se necessario, soltanto quando fossero falliti altri stratagemmi. Uno di questi era la coscrizione.

Prima di tutto, la creazione di un esercito unificato di massa basato sulla coscrizione, con guarnigioni di stanza nelle città e nei punti strategici, avrebbe reso per il futuro un’insurrezione molto più rischiosa e perciò improbabile.

Così la semplice minaccia di una forza schiacciante contro qualsiasi insurrezione locale avrebbe naturalmente teso a scoraggiare il ricorso alla violenza da a parte dei contadini ribelli.

La coscrizione significava raccogliere in città munite di guarnigione un gran numero di contadini giovani e impressionabili che, una volta segregati dai loro villaggi nativi e vivendo sotto una rigida disciplina militare, non sarebbero più stati in grado di ascoltare le lamentele dei vecchi contadini inaspriti e probabilmente non avrebbero più riflettuto sulle lagnanze locali né si sarebbero preoccupati dei piccoli ma urgenti problemi dell’economia domestica. In queste caserme molte delle giovani reclute avrebbero, specialmente durante i primi anni della coscrizione, imparato a leggere; del resto le nuove possibilità di istruirsi rappresentavano uno dei risultati indiretti della coscrizione che i riformatori più liberali onestamente desideravano.

Il governo tuttavia avrebbe fatto in modo che l’influenza che avrebbe plasmato la mente delle reclute fosse “sicura”, che la lettura e l’istruzione nelle caserme mettesse l’accento sulla lealtà, l’unità del paese e i pericoli delle idee straniere, in particolare di tutti i concetti sediziosi come democrazia, liberalismo, suffragio universale e più tardi socialismo e internazionalismo.

A poco a poco le menti dei coscritti si sarebbero rivolte verso concezioni sicure, come la necessità per il Giappone di espandersi, la missione del Giappone di “liberare la Corea” dalla tirannica morsa della Cina ed infine il ruolo del Giappone nel liberare l’Asia dalla dominazione occidentale.

La figura militare dominante del Giappone moderno, la cui vita abbracciò l’era Meiji e l’era Taisho, l’uomo che fu più di ogni altro singolo individuo il genio malefico del militarismo giapponese e della reazione nera, il feldmaresciallo Aritomo Yamagata, affermò apertamente che lo scopo della revisione e dell’estensione della coscrizione nel 1883, con il relativo enorme aumento della spesa militare e navale, era la preparazione alla guerra sul Continente:

 

“Nel frattempo il prepotente atteggiamento dei cinesi verso la Corea, antagonistico agli interessi del Giappone, faceva pensare ai nostri ufficiali che prima o poi ci si doveva aspettare una grande guerra sul Continente e li rese ansiosi di acquisire cognizioni militari, perché erano ancora del tutto impreparati ad una guerra continentale.”[12]

 

Si riconosceva che l’esercito organizzato sulla base della legge di coscrizione del 1873 era pienamente sufficiente per le necessità del mantenimento dell’ordine interno, sia per reprimere l’agitazione agraria, sia contro la ribellione in favore del feudalesimo.

Pur senza comprendere in pieno la portata storica della coscrizione molti agricoltori abitanti dei villaggi e delle città sembrarono avere istintivamente capito alcuni dei suoi significati reconditi, poiché la sua applicazione, nel 1873, provocò ben presto una diffusa opposizione, sotto forma di tumulti e persino di insurrezioni armate.

La coscrizione, con i suoi tre anni di servizio militare, privava i contadini per un periodo considerevole delle braccia più valide e, senza una meccanizzazione dell’agricoltura, una tale assenza veniva acutamente avvertita. Inoltre essa faceva intravvedere nuovi aggravi fiscali ed infine rafforzava il potere repressivo dello Stato.

Da notare è che tanto la legge originale del 1873, che la legge emendata del 1883, che fissava lo schema del sistema di coscrizione del Giappone moderno, furono emanate prima della creazione di una Costituzione[13] o di istituzioni rappresentative.

Inoltre l’esercito servì come viatico all’espansionismo militare ed economico.

I nuovi imprenditori cominciarono febbrilmente una ricerca di mercati e di aree di investimento per le loro giovani industrie e banche e i militaristi erano più che disposti ad aprir loro la strada sul Continente asiatico alla ricerca di mercati e di colonie.

I sentimenti di autentico patriottismo – l’amore per il proprio paese, la sua cultura, le sue lotte per la libertà e per il progresso, la sua lingua, le sue arti e , nel caso del Giappone in particolare, la sua struttura fisica, – si esprimono spesso in un profondo rispetto per un sovrano nominale; cioè ora il governo centrale.

In questo percorso che dal feudalesimo porta al secolo XIX i contadini hanno avuto, come poi i chonin: i “mercanti”, disprezzatissimi prima e affermati dopo, un ruolo fondamentale: i primi hanno combattuto strenuamente come moderni samurai, i secondi, ancora oggi, hanno combattuto e combattono economicamente per l’affermazione del Sol Levante.

 

 

 

Bibliografia

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[1] Periodo storico iniziato nel 1868 a un anno dalla salita al trono dell’Imperatore Matsuhito e terminato con la sua morte nel 1912. Meiji letteralmente: illuminato, è un appellativo che i giapponesi hanno dato postumo all’operato dell’imperatore Matsuhito. Tale periodo è conosciuto come epoca della Restaurazione Meiji in quanto l’imperatore, da secoli al di fuori dal potere effettivo, riprenderà in mano la guida dello stato; tuttavia per farlo dovrà modernizzare il paese dando luogo, di fatto, ad una Rivoluzione.

[2] Il Giappone antico risalente secondo la tradizione al 660 a.C., (in realtà molto più recente: V sec. d.C.), e cessato nel 1868 si è sviluppato su di una società di casta mutuata dall’esempio cinese – confuciano: vi erano quattro classi: gli aristocratici; i contadini; gli artigiani; e i mercanti. Queste ultime due caste erano le più disprezzate, ma spesso assai avvantaggiate dal punto di vista economico, rispetto ai contadini e ad aristocratici di rango basso che sebbene più in alto erano di gran lunga più poveri.

[3][3] Cfr. Y. Tsunetomo (a cura di L. Arena), Il codice dei samurai. Hagakure, BUR, Milano 2003

[4] I dati presenti nel paragrafo si riferiscono a: E. Cechini, Le istituzioni militari, SME – Ufficio Storico, Roma 2007

[5]Ibidem

 

[6] Tipica è la somiglianza tra il Giappone antico e la società feudale europea.

[7] Forma di governo facente capo alla famiglia Tokugawa, che con Yeyasu Tokugawa, il quale aveva assunto nel 1603 la carica di shogun, da quasi tre secoli deteneva il potere politico del Giappone

[8] Originariamente i contadini erano identificabili come piccoli proprietari terrieri, rispettati dalle caste superiori. Tale condizione non si neutralizzò mai del tutto, anche durante le epoche di feudalesimo maturo potevano esserci dei contadini “ricchi”, o comunque non così deboli come la maggioranza di essi.

[9] Hanami S., Storia dei contadini giapponesi, Nihon Rekishi Chiri Gakkai, Tokyo 1925.

[10] Contadini a cui era concesso di portare la spada: figura a cavallo tra il contadino e il samurai.

[11] Tratto da: Nohara Y., Cronaca segreta del Choshu al tempo della Restaurazione, Tokyo 1937.

[12] Yamagata A., (a cura di Okuma Shigenobu), The Japanese Army, in Fifty Years of a New Japan, Londra 1910.

[13] La prima Costituzione del Giappone fu varata nel 1888