Maria Luisa Suprani Querzoli, 7 aprile 1916, la prima vittoria dell’Aviazione militare italiana

A quasi dodici mesi dall’entrata in guerra, l’Aviazione italiana ancora non poteva contare una prima affermazione sull’avversario nonostante il mito del Cavaliere dell’aria avesse attirato molti giovani entusiasti che vedevano nel velivolo un mezzo sportivo[1] declinato al servizio della Patria. Il confronto con la realtà era però riuscito a smorzare lo slancio anche dei più ardimentosi che disperavano di poter vedere coronata la propria valentia con l’abbattimento di un velivolo nemico.

Nessuna macchina, fra l’altro, era armata; lo erano invece i piloti i quali, caso mai si fossero scontrati in aria con il nemico, dovevano sparargli addosso con la pistola, con il moschetto oppure con un grosso revolver Mauser, custodito in un fodero di legno che sembrava un astuccio di violino. In un clima come quello era naturale che i nostri aviatori guardassero con una punta d’invidia a ciò che accadeva in Francia, dove esisteva un’armata aerea e le macchine erano moderne e veloci.[2]

 

Il desiderio tenace di riuscire sostenne i più audaci, fra i quali figurava un giovane  volontario, riformato per la salute malferma, che, a dispetto di ciò, per primo si laureò Asso: Luigi Olivari atterrò un velivolo nemico in data 2 aprile 1916 ma non poté fregiarsi della vittoria (e né lo poté fare il Paese) perché l’aereo cadde dietro le linee nemiche, rendendo di fatto impossibile il sopralluogo necessario al riconoscimento formale[3]. Un altro giovane, proveniente dalla Cavalleria, riuscì invece di lì a breve ad abbattere l’avversario entro i confini nazionali, riuscendo così a rompere l’incantesimo che sembrava imprigionare l’Aviazione italiana: il Tenente Francesco Baracca di Lugo di Romagna (in possesso del brevetto di volo militare conseguito in Francia), da tempo, annotava sul proprio taccuino tutti i progressi, le manchevolezze (proprie e altrui) e, con una costanza incrollabile, progredì nel perfezionare il suo gesto fino a strappare la vittoria, una vittoria che, date le criticità difficilmente sormontabili, sorprese lui per primo.

 

Carissimo Papà,

dovrei scriverti un volume sulla giornata di ieri, ma siccome non ho né tempo né voglia dirò che abbiamo abbattuto due velivoli nemici dopo tanti mesi di voli continui e senza alcuna soddisfazione.[4]

 

La vista del nemico abbattuto gli rivela il volto crudo della vittoria: «[l’]apparecchio era tutto intriso di sangue coagulato al posto dell’osservatore [che versava in condizioni disperate] e dava una triste impressione della guerra»[5]. L’uomo che giace di fronte a lui, al pari suo, è un difensore della Patria e in difesa di questa è caduto sotto i suoi colpi: [h]o parlato a lungo con il pilota austriaco, stringendogli la mano e facendogli coraggio perché era molto avvilito; veniva dal fronte russo dove aveva guadagnato la croce di guerra e medaglia al valore che portava sulla sua uniforme azzurra. Non aveva potuto salvarsi dalla mia caccia e mi esprimeva la sua ammirazione con le poche parole di italiano che sapeva»[6].

Il tributo richiesto dalla guerra gli appare in tutta la sua smisurata drammaticità. Il dovere militare richiede l’impegno più strenuo nel conseguire la vittoria mentre il dovere morale impone la solidarietà umana nei riguardi dell’avversario che il momento tragico ha trasformato in nemico.

Il valore militare ed umano, notevolissimo, di Francesco Baracca riuscì a palesarsi nel margine angusto che permise l’equilibrio fra tali istanze intimamente contraddittorie.

 

 

[1] Lo sport e i valori di cui era detentore ebbero un rilievo notevole nella cultura che permeò l’ambiente interventista, anche grazie al contributo del «La Stampa Sportiva».

[2] L. Romersa, Francesco Baracca. Cavaliere del Cielo, Roma: Istituto poligrafico dello Stato, 1968, pp. 2 – 3.

[3] Cfr. Luigi Olivari in www.guerra-allorizzonte.it.

[4] L’incipit della lettera originale citata compare in G. Manzoni, Onoranze all’eroe Francesco Baracca dal 1913 al 1945, Lugo: Walberti, 1986, p. 45. L’incipit riportato nella storica raccolta di V. Varale, invece, è assai meno informale («ieri è stato il trionfo della mia Squadriglia».

[5] Lettera di Francesco Baracca al padre, Campoformido, 8 aprile 1916 (V. Varale, La carriera, le battaglie, le vittorie del grande aviatore raccontate nelle Lettere alla Madre con presentazione del Ten. Col. P.R. Piccio, Milano: «Il Secolo Illustrato», 1919, pp. 53 – 56).

[6] Ibidem.